domenica 17 maggio 2020

Fence


Cucinare le fave con il salame in un soffritto di cipolla è il momento più erotico di tutta la giornata e ancora di più se immagino di lasciarle raffreddare quanto basta e condirle con olio.
La ricerca di momenti creativi in queste settimane è una necessità per mantenere la testa al suo posto "cioè sul collo".
Tutto si svolge nel perimetro, lungo 8 km, di Zamalek, l'Isola del Tesoro o forse L'isola di Alcatraz. Alla mattina del venerdì sono poche le persone che si possano incrociare fino al ponte. A quel punto è un attimo attraversare il braccio del Nilo e trovarsi sulla riva sinistra, a Mohandessin (evadere, evasione) dove c'è un po' di traffico e di gente, in gran parte disperati. Dall'isola avevo addocchiato 2 o 3 posti promettenti lungo le sponde del Nilo, dove provare a trovare un "luogo", un appoggio, se non un sedile. E' allora che ho deciso di portare lo sgabello a tracolla. In una bella terrazza vedo tante sedie, poltroncine di vimini. Non è disabitato e ci sono due uomini all'interno che fanno da guardiani. Chiedo di vedere, se posso sedermi un momento e non rifiutano, per cui tiro fuori l'armamentario sempre più veloce e abbozzo il disegno. Arriva uno di loro e mi chiede di andar via. Non è possibile. Non so veramente perché facciano così, di che cosa abbiano paura. Non insisto e prendo le mie cose e me ne vado salutando educatamente. Poco oltre mi affaccio sulla stessa terrazza e, da dietro un filo spinato, su una colonnetta che regge la separazione, finisco il disegno e lo coloro, sotto gli occhi distanti dei due.
Di corsa. Anche quando mi siedo, pagando la mancia, sulla poppa della feluca, faccio velocemente. Sono troppo abituato a farmi "sorprendere" dal guardiano di turno, come alle piramidi, quando senza autorità alcuna mi chiedono di andarmene anche se ho pagato il biglietto. Sento molta precarietà in quei momenti, mi sembra di sottrarre qualcosa o di fare quello che forse non dovrei e poi mi secca non essere libero di fare quello che mi pare. La corrente artistica a cui appartengo si chiama "bistro", veloce, parola che viene dal russo ma che è stata presa a prestito dai bar parigini e poi dalla lingua egiziana, dove - appunto - significa "presto", "bisor'a-a".

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