venerdì 16 giugno 2017

Saqquara - 2


Saqqara
16 giugno 2017


Torno a Saqqara per provare a visitare il Serapeo...che dalla guida del National Geographic non ho neppure ben capito che cosa sia. E comunque non riesco a vederlo perchè sembra che serva un biglietto speciale che lì sul sito non posso fare.
Però il "guardiano" mi propone di visitare la tomba di Ti, che dovrebbe essere stato un grande dignitario ai tempi del Faraone Djoser. La tomba è lì vicino: un grande atrio con colonne e pilastri, infossato nel terreno, su cui si aprono delle sale, delle stanze.
Leggo poi sulla guida che si tratta di un sito importantissimo per i graffiti e i bassorilievi a colori che "meglio di ogni altra cosa descrivono la vita in Egitto 4.500 anni fa". E' vero. La guida, che mi propone di accompagnarmi e di aprirmi le porte, è un fellah anzianotto, con l'asciugamano sulla testa e senza un dente davanti, e continua a parlare. Se c'è un'oca nel bassorilievo, mi dice "è un'oca"; se c'è una barca con le vele e i rematori, mi dice "è una barca". Tutto così... Non mi fa fare una foto a un bassorilievo. Poi però con "complicità", nelle stanze dentro mi dice che ...posso fare foto. 

In questi giorni, vedendo le figure al museo egizio e osservando la gente per strada e i loro comportamenti, sono arrivato alla conclusione che gli egizi antichi non siano proprio i progenitori di quelli moderni. Non sembra che ci sia proprio niente, ma niente che li accomuni.

Però...



Questo bassorilievo riporta una scena che si doveva ripetere nelle vecchie dinastie: l'uccisione di un bovino (toro, vitello...), per sacrificio o per fini alimentari e basta.
Questa scena mi si è presentata dal vivo qualche settimana fa, al quartiere del Cairo di Magr El Ayoum (la parola vuol dire corso d'acqua con gli occhi: infatti è attraversato da un acquedotto antichissimo), il quartiere delle concerie che, grazie alle politiche del governo, al programma di cooperazione italiano e all'ICE (!!!), sta per essere spostato fuori Cairo. 
Il quartiere si trova nel mezzo della città vecchia, dove avevano sede i macelli, i quali a loro volta stavano vicino all'acqua (immagino che l'acquedotto fosse permeabile, e dell'acqua fuoriuscente potesse essere usata nella macellazione). L'ho visitato insieme ad Ashraf e all'esperto italiano che teneva un seminario ai conciatori. Il sito è  primitivo, l'aria trasporta i miasmi della lavorazione delle pelli, l'acqua che scorre nelle vie porta verso il Fiume tutto quello che raccoglie. L'acqua forma ruscelli che per attraversarli servono dei piccoli guadi. Carri su ruote di gomma carichi di pelli o di menta o di erba, trainati da cavalli magri e da asini, condotti da vecchi e da bambini; il terreno è soffice, formatosi nel tempo dagli scarti delle lavorazioni della concia, e assume un colore azzurro chiaro chiaro, dovuto al cromo che viene usato per la prima fase della concia. Quello che colpisce è che non si tratta solo di un sito "industriale", ma è un quartiere vero e proprio, dove la gente vive. E così ci sono donne, vecchi, seduti, in piedi, a cavallo, moto che passano, c'è chi cucina, per sè o per gli altri. Potrei anche io comperare qualche cibaria preparata lì in qualche antro, sulla brace, ma penso che non reggerei.

Il nostro amico Ahmed, il direttore della conceria modello di nostro riferimento ci accompagna nella sua conceria e ci invita a mangiare con lui e alcuni ospiti. Arriva un pranzo "sontuoso", non per come viene presentato (un take away con vassoi di alluminio in comune) ma per l'atmosfera, per l'allegria e per la qualità dei cibi: fegato arrosto, cervella fritta, ecc....cose che pensavo che non si potessero più nemmeno mangiare. E abbiamo finito tutto, tutto andava giù come in una ritualità sconosciuta ...ma in realtà inconsciamente nota.

Al momento di prendere l'auto e di andare via, il nostro ospite mi chiede di vedere una cosa. Mi spiega che circa una volta al mese macellano degli animali per darne ai dipendenti, che sono per loro come una famiglia. Riportandoci dentro la conceria, nella stanza al livello della strada dove sono sistemati i bottali che girano con il rumore ritmico, ci fa vedere due tori legati a un muro con una corda, e poco più in là un terzo toro, rivolto dall'altra parte. Capisco cosa vuol dire. Questi tori, giovani, ma maestosi nella loro fierezza, verranno macellati e le loro carni distribuite. Non mi impressiona la cosa in sè.

Mi chiede se voglio assistere all'"atto" e questo mi coglie di sorpresa, come le cose che succedono e devi affrontare subito, mentre prima pensavi che avresti avuto tempo per prepararti. Penso allora a tante cose ma nel frattempo tre giovanotti si avvicinano al primo animale e gli legano strette le gambe davanti, appena sopra gli zoccoli. Poi legano le gambe di dietro. Uno dei tre prende il toro per le corna e lo abbatte per terra. Prima di cadere il toro barcolla, cerca di reggersi in piedi. Poi cade di fianco, con l'uomo che gli gira le corna come il volante di un'automobile. Gli occhi sotto le corna mi rimangono impressi e sembrano capire cosa sta per accadere all'animale ma sembrano non mostrare stupore.
Il giovinotto a questo punto, con l'animale sdraiato sul fianco, tira le corna indietro e la testa del toro si piega in una posizione innaturale, la posizione del toro di Mitra. A quel punto il terzo uomo estrae una lama dallo stivale e dà dei colpi ripetuti, di taglio, sulla gola dell'animale e poi gli apre la gola con un colpo più deciso. Il sangue esce a fiotti e arriva quasi fino ai nostri piedi. L'uomo con il coltello, e gli altri si puliscono un attimo dopo il grosso del sangue dalle mani, ma resta quello sulla faccia. Credo, penso, che faccia parte del rito.

Il bassorilievo nella tomba di Ti raccontava quello che ho visto a Magr El Ayoum, stessi lacci che legano le caviglie dei tori; stessa lama, stesse persone. Aver visto questi bassorilievi aggiunge un'esperienza sullo stesso atto, visto alla televisione compiuto su persone come me vestite di arancione; visto nella conceria. Certificato nel bassorilievo di 4.500 anni fa.






sabato 3 giugno 2017

Fayum - 2


Il Fayum è il mondo contadino, dei fellah'in. Si riconoscono anche al Cairo perchè vestono con la galabyia, la veste lunga con i bottoni dal torace al collo, e spesso il turbante (un asciugamano avvolto con noncuranza intorno al capo).

Che cosa dire del Fayum? il sito dove sono stati trovati i ritratti a colori sulle tavolette, in cui riconosci occhi colori espressioni di persone ... Per me è stata una lunga corsa in macchina, in compagnia della polizia, interrotta da poche soste per visitare alcuni luoghi. Come Tunis, una cittadina "nota" per la produzione di ceramiche artistiche. E' una Albisola egiziana, turistica in un'area in cui il turista per ora non esiste. Con workshop di ceramica dove non capisco se l'influsso delle ceramiche del nord europa ha creato e fatto diventare famoso uno stile, o viceversa lo stile di quaggiù ha formato ceramisti tedeschi, ecc...Il gusto di questi vasetti è sì etnico ma con una fortissima contaminazione con il gusto che io conosco come centro-nord europeo. Visito un paio di atelier con ragazzi egiziani che ci lavorano e mi piacciono pure molto questi oggetti, anche se continuo a non sentirli genuinamente autoctoni.

Da Tunis verso El Nazla incontro il mio Fayum. Ho visto delle foto di El Nazla, "centro" della terracotta, e chiedo se mi ci portano. E' a una trentina di km da Tunis, fuori della rotta lineare della Lake Tourist Road. Senza la Polìs non ce l'avremmo mai fatta: le strade non portano nomi e i poliziotti si fermano ad ogni incrocio a chiedere info. E così incontro i fellah'in in tutte le salse: grassi e magri, bruciacchiati o barbuti, giovani e vecchi, a piedi o a cavallo dell'asinello o sui tuk-tuk, che più ci si avvicina alle città più ingombrano le strade.
La strada è lunga e costeggiata finalmente da campi verdi raggianti, con palmeti, alberi, animali, persone che raccolgono da terra o zappano sotto il sole (shams) dei 41°. Bufale, mucche e tori, capre e cani dalle orecchie a punta come Anubi, oche, uccelli migratori, asini. Quasi tutti i fellah'in cavalcano in modo da assecondare il passo dell'asino, muovendo le gambe avanti e indietro. E vedo piedi nudi o in ciabatte o in scarpe che oscillano avanti e'ndrè, sù e giù a velocità e a ritmo diverso. Credo che sia lo stesso movimento che fa chi va a cavallo e si alza sulle staffe e si risiede sulla sella.

Eucalipti enormi ai fianchi delle strade. Anche qui tanta spazzatura, cementata nel limo. Pompe che sparano acqua fuori dai canali che comunque e bene o male portano l'acqua del Nilo. E su questi canali si può attraversare su tronchi di palma gettati di traverso tra le due sponde, alcuni cementati come se fossero lì da sempre.

La volante continua la sua corsa. Dico a Hani di non andare tanto forte, lui forse capisce, ma la forza di suggestione della polizia è troppo forte anche per lui, che è un semplice. La corsa si ferma bruscamente ogni qualche centinaio di metri per i dossi di cemento. Ognuno ha un suo modo di prendere i dossi e la polizia, seguita da Hani, prende i dossi di traverso, in modo da bilanciare il peso della macchina prima su una ruota poi sull'altra per non far toccare sotto.

El Nazla finalmente. Un centro come altri, ma arriviamo diretti lungo le sponde del braccio del Nilo e vedo i primi forni dei terracottari. Ci fermiamo e con Hani scendiamo verso i forni e subito in mezzo a cataste di terracotta. Cumuli di bacili, di varie dimensioni, strani oggetti che sembrano caschi per palombari con due entrate (forse sono giunti per tubature) e giare panciute che starebbero in piedi solo se appoggiate sulla sabbia. C'è solo questa produzione. Sono prodotti grezzi, ma proprio grezzi. Per intenderci non sono come le terrecotte...il coccio delle nostre parti, ma hanno una grana grossa...Li ho qui sotto gli occhi perchè ne ho comprato un "set". I bacili ...o coppe sono di due colori, di due materiali diversi: oltre al coccio ci sono quelli di colore grigio. 

Il "ceramista" che mi segue è un uomo minuto e avrà 40 anni, con i baffetti, sorridente, che lavora tutto il giorno sotto il sole e sforna terrecotte su terrecotte che poi restano lì, all'aperto.
"Chiedo" come fa a fare le coppe griige e allora mi prende per mano e mi porta in una casupola e si mette a lavorare, con il suo aiutante. Oltre a me e Hani ci sono 5 o 6 bambini e ragazzetti che stanno a vedere. Insomma...le terrecotte grigie sono fatte con un impasto di terra (che a me ha insospettito per il colore marroncino...color merda) e paglia sminuzzata. Lo riprendo in video col telefono e non esiste altro al mondo in quel momento.

All'uscita il suo assistente mi chiede il bakshish, ma... piuttosto preferisco comprargli tutto un set di bacili, coppe varie e anche una di quelle fatte con la "terra e paglia". Ora sono qui per terra in casa e non saprei che cosa farne. Ma...mai più senza.

La polizia ci ha lasciato liberi ben avanti sulla strada del Cairo, poco prima di vedere le piramidi di Giza. Ci passiamo vicini. Sono enormi.


sabato 27 maggio 2017

Fayum


sono passate quasi due settimane e riprendo un po' di immagini di quel giorno. Partenza, saluti ad Hani (tassista di fiducia), preparazione delle mappe nella mia testa, incomunicabilita' e sorpresa assicurata. La mia macchina, il taxi. Paesaggio urbano ormai gia' visto 3 o 4 volte, e ogni volta ricco di particolari, visivi, olfattivi e auditivi. Ma soprattutto emozionali: non c'e' altro modo di descrivere un uomo su una moto che trasporta una cesta di oche sul portapacchi; la vista delle piramidi; bei palazzi con devastazione delle casse dell'aria condizionata in facciata: questa è Fayum Rd. E, superate le piramidi, mi coglie il desiderio di essere gia' di ritorno, e di aver già vissuto cose straordinarie, sapendo che per nulla mi tirerei indietro in questo momento. Ma la strada va avanti mentre quelle di fianco portano al nulla.
La strada è una desert road, ai lati tanta immondizia, sulle dune, dove ci sono i cespugli, si sono impigliati e fermati mucchi di spazzatura, di plastica.
A destra, lungo la strada, si snoda uno strano paesaggio come una teoria di abitazioni viste nei disegni di Toppi, abitazioni basse e arabescate. Senza vita. Avanti per circa 6 o 7 chilometri. Lo immagino ma chiedo a Hani che mi fa capire che è una città dei morti: slamiya ua kipti, che ora che ci penso significa cimitero sia musulmano che copto. Infatti si intravede qualche campanile e qualche minareto.

Hani guida in mezzo alla strada, ma rimane un virtuoso con la macchina (harbeya): mette la cintura quando la metto io, guida a velocità giusta, non suona tanto. Ma mi ha stupito quando ha fermato la macchina in mezzo all'autostrada fermando poi una macchina in arrivo per chiedere la strada per arrivare dove dobbiamo arrivare. E' niente in confronto a quello che vedo: il senso della strada non è solo quello longitudinale monodimensionale. La dimensione orizzontale vuol dire che le auto possono attraversare la strada come i pedoni o tagliare la strada per andare verso destra mentre viaggiano alla tua sinistra.

La prima tappa è Kernis, un sito archeologico un po' deludente, dato che non è rimasto molto, che si trova a destra uscendo dalla strada che continua per il centro di Fayum "city". Si passa in qualcosa che mi ricorda un distretto della ceramica industriale.
Hani parla con le persone, con i poliziotti che ci aprono il cancello, che ci danno consigli e alla fine un uomo mi dice che "non avremo più bisogno delle indicazioni perchè la polizia ci accompagnerà". Di nuovo in macchina penso che la volante superaccessoriata davanti a noi ci debba solo accompagnare sulla Lake touristic road, ma in realtà ci dovremo abituare, perchè la polizia non ci mollerà più fino al ritorno, già ben avviati sulla strada per il Cairo. Sono 4 persone calashnikovizzate: il capo è giovane e sulle prime (e sulle seconde) non mi piace. Provando a dirgli di lasciarci andare da soli creiamo imbarazzo e poi irritazione: siamo obbligati a viaggiare in compagnia. Alla prima sosta penso che vorrei tornare indietro, che sono molto seccato, penso che il mio autista di fiducia preferito non capisca un gran che... Gli ho disegnato su un foglio le 2 macchine, la nostra e la loro, e la nostra tirava dritto mentre la volante faceva una svolt a a U e se ne tornava indietro. Ho anche chiamato la mia collega perchè si facesse spiegare. Insomma, pare che sia una forma di cortesia e di protezione, e che non ci sia  veramente nessun pericolo reale, ma che sia abbastanza di prassi che se un tirusta arriva in certe zone senza un viaggio organizzato, la polizia si curi che non ti succeda niente. "Hani! ma se non andiamo da soli, come faremo a fermarci quando lo vorremo, fare un acquerello, fumarsi una sigaretta lungo il lago...!"

martedì 9 maggio 2017

Venerdi a Dashur



Piramide di Dashur romboidale

Dashur è il sito archeologico più a sud che io abbia raggiunto. Un'ora e un po' dal Cairo. In macchina con Hani solite strade sconnesse per uscire dalla città fino a raggiungere la strada che costeggia un canale e passa attraverso palmeti, fitti come boschi. Siamo nel sito prima delle 9 e troviamo gente che si è radunata lì vicino per festeggiare qualcosa, che non è interessata a quello che bramo. Il sito è ancora in mezzo alla zona militare.

Per la prima volta...È una frase che mi ripeto. Prima volta che ho visto, sentito parlare di Dashur è stato pochi mesi fa su una rivista e mi pareva come se fosse stato scoperto da poco.
Prima volta che ho la sensazione di essere solo sulla terra a vedere una cosa straordinaria e voler condividere questa emozione senza poterlo fare.
Prima volta che incontro il deserto, una distesa intorno a me, interrotto solo dalla piramide di Dashur, dalla piramide rossa e dalla piramide nera.

Mi fermo a disegnare proprio la piramide nera, perchè è la più distante e nella sua indefinitezza mi sembra quella più semplice da dipingere. Invece è difficile ricevere un risultato che mi soddisfi. Forse sto perdendo la mano e prendo l'abitudine di fare altre cose invece che acquerellare. A casa, la sera, spesso guardo la tele, e mi pare di perdere tempo con l'inguardabile, dai tg a tutto il resto in lingua.

Ho toccato il fianco della piramide come mi è stato suggerito dalla guida (libro): su buona parte della piramide di Dashur è ancora presente lo strato di calcare che funzionava da intonaco, ricoprendo i gradini. Non è come toccare il marmo del Partenone, ma assomiglia di più al travertino di Roma, ma è più liscio.

Chiedo ad Hani se ci possono essere i serpenti. Serpente si dice "tha been". Ma mi rassicura. Amo le mie scarpe da week end, comode, dello stesso colore della sabbia, che mi portano dove vuole il mio essere, da solo.

Quattro ore di meditazione pensando a poche cose. Pensando alla prossima volta che tornerò.

mercoledì 26 aprile 2017

Tornando da Saqqara
Aprile 2017


Carta Arches satinata, 26x36cm

Sulla destra queste rocce e grotte. Alla sinistra si apre la valle del Nilo immersa nei palmeti. Un fiume di palme

sabato 8 aprile 2017

Saqqara piramide di Djoser
7 aprile 2017


Su carta Arches, 26x36

Hani mi accompagna a Saqqara con il taxi e starà con me fino a quando glielo chiederò. Entrerà con me nel sito archeologico e l'idea mi fa più piacere che dispiacere.
All'altezza più o meno di Giza Al Haràm si vira verso sud e la strada non è un granchè: in mezzo al centro abitato, che praticamente finisce solo quando stiamo per arrivare. A tratti la strada è polverosa e allora tiriamo sù il finestrino. Con Hani ci guardiamo e ridiamo...anche per le stranezze che si incrociano lungo la strada, dalle manovre pericolose degli automobilisti, ai carretti. Ci sono tanti asinelli che tirano i carri con ruote da automobile. Ma questo finchè si è in città. Poi cominciano i traini di mucche o bufali. Le mucche che incontriamo sono tante e piuttosto magre, mi ricordano i disegni della Più grande Storia mai raccontata (la Bibbia) quando parla delle piaghe d'Egitto o del sogno di Giuseppe delle vacche magre...sempre Egitto. Hanno le corna più orientate verso l'indietro.
Ancora lungo la strada mi colpisce la foresta di palazzi forse in costruzione, senza intonaco, disabitati, per chilometri. In alcuni, c'è la vita! e capita di vedere un appartamento ai piani bassi vissuto, perchè l'esterno, o il terrazzino, è intonacato: come un'incastonatura di ceramica in una parete grigia.

Al sito c'è ancora pochissima gente e tutto è più facile rispetto a Giza. Possiamo aggirarci tra le tombe, prima di affrontare la piramide a gradoni. Sulle pareti delle tombe ci sono teorie e teorie di figure, che starebbero nello schermo di un i-phone a grandezza naturale. Uomini e animali, attrezzi e piante, infiniti, ma tutti diversi, precisissimi, espressivi anche se di profilo. Alcune figure sono grandi altre a dimensione naturale. Poi tante scritte, geroglifici, il cartiglio del faraone Teti, nella sua tomba, un po' dappertutto. 

Quando si esce fuori, all'aperto, la bella sensazione di stare sotto il sole cocente con una luce accecante ed essere catapultati migliaia di anni indietro. 

Verso sud si vedono le due piramidi di Dashur, a una distanza come tra Savona e Albisola. Ma devono essere una decina di chilometri. Le due piramidi si stagliano e sono impressionanti: la piramide rossa e la piramide romboidale, più antiche di quelle di Giza ma più giovani di quella di Djoser a gradoni.

Djoser mi chiede di ritrarla e allora non me lo faccio ripetere due volte. Hani si siede lì vicino e appoggia tre pietre al recipiente dell'acqua perchè non si imbatta con il vento. Ogni tanto guarda, lo guardo e sorridiamo.
Alla mia destra la sua pazienza e davanti a me l'antichità della Madre.

giovedì 6 aprile 2017